Smart working e diritto alla disconnessione

Se in italiano il termine smart working viene tradotto letteralmente con “lavoro intelligente”, ne da invece una lettura ben più approfondita l’Osservatorio del Politecnico di Milano che lo identifica in “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali lo smart working, definito più precisamente con il termine lavoro agile, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. Ai cosiddetti lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai colleghi che eseguono le stesse prestazione ma con modalità ordinarie.


Cosa prevede la normativa sullo smartworking in Italia

In Italia il lavoro agile è disciplinato grazie alla legge 81/2017, parte del Jobs Act sul lavoro autonomo che ha stabilito “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Il provvedimento ha innescato nel nostro paese un importante cambiamento in termini di legislazione: il 10 maggio 2017 il Senato della Repubblica ha infatti approvato in via definitiva il testo del Disegno di legge AC. N. 2233B che disciplina  lo smart working, definendolo “l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Il quadro normativo da quel momento a oggi ha aperto nuove prospettive in termini di gestione dei dipendenti, dei flussi di lavoro, delle comunicazioni interne e delle intere filiere di produzione.

Sempre secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, dopo un anno dall’entrata in vigore della legge sul lavoro agile, oltre il 60% delle aziende di pubblica amministrazione che avevano avviato un progetto strutturato di smart working lo avevano fatto su stimolo della normativa, mentre solo il 23% degli enti pubblici aveva già pianificato di introdurre il lavoro agile prima dell’evoluzione della normativa e il 17% lo aveva introdotto prima dell’entrata in vigore. Tra le imprese, invece, la situazione era ben diversa: appena il 17% di chi faceva smart working aveva ritenuto la normativa uno stimolo, mentre l’82% delle grandi imprese e il 76% delle PMI lo aveva già introdotto o aveva pensato di farlo prima ancora della legge.

Tra le grandi imprese solo il 6% aveva trovato positivo l’impatto della legge, il 49% lo aveva ritenuto nullo e il 45% addirittura negativo, principalmente per la complicazione dei processi di trasmissione delle comunicazioni e l’adeguamento degli accordi individuali e delle policy. Più divisa sul tema la PA: per il 27% l’impatto era positivo, per il 43% nullo e per il 30% negativo. Con la legge di Bilancio 2019, n. 145 del 30 dicembre 2018, è stato modificato l’articolo 18 del c.d. Jobs Act con l’inserimento del comma 3-bis secondo cui il datore di lavoro che stipulava accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile, doveva dare priorità alle richieste di smart working formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità e a quelle dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità.

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Smart Working: com’è cambiato lo scenario dopo l’epidemia da Coronavirus

Dal 2020, con l’arrivo in Italia e nel Mondo della grave epidemia da Coronavirus, lo smart working è diventato una pratica di lavoro ampiamente diffusa in tutte le zone del nostro paese, per cercare di ridurre al minimo le possibilità di contagio e per consentire alle realtà aziendali di proseguire le proprie attività. In questo contesto straordinario il governo ha
urgentemente previsto tramite decreto la sospensione delle attività lavorative per le imprese, ad esclusione di quelle che potevano essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza. La decisione era stata presa dalla Presidenza del Consiglio ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, adottando misure di contrasto e contenimento alla diffusione del virus. Un numero sempre crescente di aziende ha così nel tempo chiesto ai dipendenti di limitare le trasferte di lavoro e lavorare in smart working, utilizzando gli strumenti di collaboration a disposizione e, a seguito delle successive disposizioni attuate dal Governo per contenere e gestire l’emergenza epidemiologica, quasi tutte le realtà italiane hanno adottato forme di smart working. In particolare il DPCM dell’8 marzo 2020 e quello successivo dell’11 marzo hanno consentito alle aziende la possibilità di utilizzare le modalità di lavoro agile per tutta la durata dello stato di emergenza e per ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali previsti, raccomandando che fosse attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per quelle attività che potevano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.

Nonostante un lento rientro alla normalità,  viviamo in uno scenario ancora fortemente improntato sul distanziamento sociale e, di conseguenza, lo smart working continua ad essere una modalità largamente diffusa.  Le grandi aziende in cui ogni giorno transita un numero cospicuo di dipendenti si devono necessariamente adoperare per organizzare e adottare misure ad hoc per individuare il numero massimo di dipendenti che possono accedere contemporaneamente alla sede, valutando la possibilità di mantenere le distanze di sicurezza in funzione degli spazi a disposizione e gli ingressi scaglionati, e concedendo agli altri la possibilità di adottare soluzioni di lavoro da remoto.

 

Smart working e digitalizzazione

Il tema del lavoro flessibile in questi anni è certamente diventato un tema di stretta attualità anche se, come abbiamo detto, è oggetto di discussione nelle aziende da ormai diversi anni. Le variabili da valutare se si vuole comprendere e sfruttare appieno questo modello sono molte, di carattere normativo e regolatorio e, soprattutto, organizzativo e funzionale. Lo smart working, infatti, implica una riorganizzazione del lavoro e dei processi produttivi basata sulle tecnologie digitali e l’inserimento in questi processi del lavoro a distanza in termini di complementarietà̀, e non di sostituzione, del lavoro in presenza, in maniera funzionale rispetto a tutte le fasi dei processi. Se il lavoro agile è in primo luogo una questione di cultura organizzativa, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale: da una parte lo smart working ha bisogno delle tecnologie per attuare e rendere concrete le sue pratiche e i suoi modelli, dall’altra, rappresenta una grande leva per la digital transformation e la creazione di spazi di lavoro dove le tecnologie diventano parte integrante dello spazio fisico e permettono di supportare efficacemente forme di lavoro collaborativo e la comunicazione tra team virtuali. L’osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha individuato quattro categorie di tecnologie fondamentali per favorire i processi di lavoro agile e favorire lo sviluppo di nuove competenze digitali:

  • Social collaboration – strumenti e servizi che permettono di comunicare e relazionarsi, creando nuove opportunità di collaborazione e condivisione della conoscenza.
  • Mobility: Piattaforme, device e applicazioni che supportano il lavoro in mobilità.
  • Security: Tecnologie realizzate per garantire la sicurezza dei dati, anche da remoto, e da diversi device.
  • Workspace Technology: Tecnologie e servizi per un utilizzo più flessibile e più efficace degli ambienti fisici.
     

digitalizzazione



Il datore di lavoro non è però necessariamente tenuto mettere a disposizione del lavoratore le tecnologie per lavorare in mobilità: la logica è quella del Bring your own device (BYOD), ovvero offrire la possibilità di usare i propri dispositivi personali fuori e dentro il posto di lavoro. Ovviamente usare i propri device per avere accesso alle informazioni relative al lavoro da qualunque luogo ci si trovi, implica un’attenzione particolare ai temi della sicurezza, perché diventa fondamentale proteggere non solo l’infrastruttura aziendale, ma anche pc, smartphone e tablet dei dipendenti.  In questa prospettiva, digitalizzazione e smart working sono capaci di abbracciare praticamente tutti gli ambiti del vivere sociale e il lavoro agile diventa una materia da approfondire a fondo affinché possa mantenere le aspettative che si porta dietro, in primis quella di elevare la qualità della vita, professionale e non, delle persone. La chiave di volta sembra quindi essere quella di cambiare i concetti di fruizione del tempo e dello spazio per favorire nuovi modelli di lavoro più efficaci ed efficienti.


Diritto alla disconnessione e forme di lavoro ibrido: verso un futuro migliore

Il lockdown del 2020 è stato per molti un'accelerazione sulla strada dell'alfabetizzazione tecnologica, ma è facilmente comprensibile come il viaggio verso una comprensione profonda della materia non sia ancora concluso. Anzi, il rischio di essere sempre connessi quando si è in smart working, di non staccare mai completamente la spina e di lavorare troppo è uno dei rischi più manifestati e va quindi trovata un’ armonia, anche a livello normativo, che impedisca di trasformare la tecnologia da risorsa a zavorra. Questo equilibrio va certamente cercato appoggiandosi a modelli di lavoro ibrido, maggiormente collaborativi e fondati su una più ampia autonomia e fiducia, sia per ottenere risultati importanti in termini di efficienza aziendale sia per il benessere dei lavoratori. Un sondaggio condotto da Nomisma fra aprile e maggio 2020 ha evidenziato che il 56% dei lavoratori che in quei mesi operavano in smart working avrebbe voluto continuare a farlo anche post crisi. E dello stesso avviso erano il 32% delle società intervistate.

Se è vero che la maggior parte dei lavoratori ha dichiarato di aver apprezzato i vantaggi dello smart working conquistati dalla crescita di autonomia e dalla possibilità di dimostrare con i risultati il valore professionale, è vero anche che esistono diversi aspetti problematici nell’utilizzo di modelli di lavoro flessibile: l’assenza di socialità, la difficoltà a far fronte a problematiche tecnico-logistiche come la mancanza di connessione o il rischio di operare senza limiti di orario. Soprattutto per quanto riguarda questo ultimo aspetto e per tutto ciò che ne consegue, nella legge 61/2021 è stata inserita una norma che sancisce e rafforza, in via generale, il diritto alla disconnessione dagli strumenti tecnologici per i lavoratori, riconoscendo ai lavoratori che svolgono l’attività in modalità agile “il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati”. Non solo, la norma sancisce anche che “l’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.

do somethings great



L'opportunità verso un cambiamento graduale delle dinamiche lavorative a favore di una maggior flessibilità e soddisfazione dei lavoratori e per migliorare l’efficienza e la produttività nelle aziende è dunque concreta e possibile. Se da un lato il diritto alla disconnessione diventa imprescindibile nel garantire il fondamentale equilibrio tra lavoro e vita privata, esistono diverse buone ragioni per affidarsi a modelli di lavoro regolati da forme di smart working o modalità ibride. È auspicabile dunque trovare un giusto compromesso tra questi due aspetti, tra disconnessione e connessione, non tralasciando gli effetti positivi e negativi di entrambi, anzi sfruttandone al massimo le opportunità.